lunedì 3 dicembre 2012

Rubrica "Washington VS Italia": Habemus Vincitore (Prima Parte)


Talvolta il tempo passa troppo in fretta, talvolta invece gli istanti sembrano interminabili ed i giorni infiniti.
Filosofi e poeti hanno scritto pagine di libri sulla relatività del tempo, ma una cosa rimane alla base di tutto: esso passa, inesorabile.
Anche per me è trascorso, e così mi ritrovo qui, dinnanzi al mio pc messinese, a raccontarvi del mio rientro e, finalmente, a dichiarare un vincitore in questa lunga partita che ha visto in competizione due squadre improbabili, ma in gamba, che ci hanno appassionato fino alla fine.

Ovviamente sto parlando della Washington DC, Capitale del mondo, terra di Obama, distretto americano per antonomasia, e della Messina, simbolo dell'Italia, terra di cultura, storia e civiltà antiche.
Avevamo concluso l'ultimo incontro-scontro con un degno pareggio, nell'attesa intrepida di erigere un vincitore, l'unico.
Questo articolo della Rubrica si organizzerà come un tour de force finale, una sfida ai rigori, una carrellata di goal e non goal che assegnerò imparzialmente ora all'una ora all'altra squadra. E poi, solo poi, calcolatrice in mano e consegneremo la coppa.

- Civiltà stradale (Washington +1)
Mi sembra doveroso assegnare un punto alla squadra americana per il semplice fatto di avere dei conducenti autostradali che si fermano dinnanzi le strisce pedonali con un anticipo di circa 50 mt e senza tentare manovre incaute per atterrare tutti i birilli-pedoni del momento.

- Treni
Pensavate che Trenitalia ed il suo monopolio in costante aumento tariffario non avessero rivali? Niente di più sbagliato: anche in America le ferrovie sono riservate solo a soggetti agiati. Per i comuni mortali non rimane altro che utilizzare i 'pummanni' (come sono notoriamente conosciuti dalle nostre parti) oppure, in alternativa, gli aerei intercontinentali (devo ammettere economici e pratici).

In conclusione? Parità: ritengo che in questo settore nessuna squadra sia degna di un punto di vantaggio.

- Moda (Italia +1)
La dissertazione sul tema 'Vestiti & Co.' potrebbe velocemente essere liquidata con questa semplice affermazione: gli americani usano vestire con bermuda, magliettine, calzettoni rigorosamente alti fino al ginocchio e strane scarpe di cui non esiste (ringraziamo il cielo) un corrispettivo in Italia.

Insomma, un italiano in America è facilmente riconoscibile: è l'unico che si fa notare per il suo look impeccabile (e per l’accento da automa, ma questa è altra storia). Tutto il resto è inguardabile.

- Politica e patriottismo (Washington +1)
Ho avuto la fortuna, ed il privilegio, che la mia permanenza nella Capitale del mondo coincidesse con uno dei momenti più caratteristici della politica americana: le elezioni presidenziali. E' difficile spiegare in poche righe il clima respirato durante quelle settimane, ma cercherò di arrabattarmi per farvi comprendere al meglio perchè il patriottismo in America non sia solo una parola utilizzata per accaparrarsi voti a destra e a manca.

Iniziamo con i dibattiti, quella sorta di spettacolarizzazione politica che alcuni tentano di trasferire anche nella nostra Penisola, ahimè, con risultati talvolta paurosi.
Volendo utilizzare un’analogia matematica, potremmo dire che gli americani stanno ai dibattiti come gli italiani stanno alle partite della Nazionale. Il clima è esattamente lo stesso: euforia, attesa, concentrazione, schermi maxi, due fazioni opposte, cappellini rossi e blu, spillette con la faccia del proprio leader, applausi, urla… mi è anche capitato di assistere ad una sorta di ‘arbitro cornuto’ (con termini molto più educati e diplomatici) in riferimento al giornalista poco incisivo.

Il tutto attorniato da migliaia di tifosi intenti a seguire e commentare ogni singolo istante sui loro Social Network preferiti. In cima a tutti, neanche a dirlo, Twitter. La cultura statunitense di Twitter rappresenta uno di quegli argomenti che meriterebbero un approfondimento significativo, anche solo con l’intento di importare un po’ di sano citizen journalism in un Paese ‘arretrato’ (in questo campo) come il nostro.

Ma, al momento, continuiamo a concentrarci sul patriottismo politico.

Dopo i tre dibattiti, giunse il momento più atteso: la votazione ed i risultati.
Ho seguito gli exit-polls in un locale di tre piani super affollato. Non vi era spazio neanche per respirare, ma questo non importava a nessuno. L’importante era focalizzarsi su ogni estrazione, fare calcoli, vedere se Ohio avesse mantenuto le promesse, numerare i Grandi Elettori, gioire se Obama o Romney risultavano in vantaggio, urlare per disperazione se il proprio voto stava andando perduto… Insomma, quando alle 11.15 pm l’America seppe di avere un Presidente, lo stesso dei 4 anni precedenti, Washington (notoriamente pro-Obama) esplose.

Più o meno come quando l’Italia vinse i mondiali del 2006: fiumi di persone che inondavano le strade urlando “Obama, 4 more years”, frastuono di clacson (era la prima volta che sentivo due clacson suonare contemporaneamente), bandiere che sventolavano sulle macchine…

La prima cosa che mi venne in mente fu: Cavolo, che patriottismo!

(To be continued…)

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