E se i privati entrassero a pieno titolo nello sviluppo della città di Messina? Una domanda, una proposta, un’idea che da tempo aleggia tra le vie cittadine e che, sempre più, tende ad essere una vera e propria soluzione.E’ siglata PPP (Partenariato Pubblico Privato), è sostenuta da diversi protagonisti, tra cui primeggiano le sezioni ANCE e OICE di Confindustria, e da anni sperimenta nuove forme cooperative tra enti pubblici e imprese.
In effetti, il PPP si presenta come una soluzione in grado di rispondere alle numerose necessità del nostro territorio: dalla riqualificazione del water-front alla stazione marittima, delle case basse di Paradiso al recupero di vaste aree da tempo dismesse.
E’ pur vero che, a sentir parlare di sigle strane e progetti dal marchio inglesizzato, qualcuno potrebbe storcere il naso.
Basti pensare ad espressioni come projet financing o società di trasformazione urbana, per comprendere quanto la diffidenza dei messinesi non addetti ai lavori possa essere pienamente legittimata.
Una perplessità che, di certo, si potrà cercare di schiarire con qualche piccola spiegazione.
Poi, una volta fugati tutti i dubbi, spetterà ad ognuno scegliere da che parte stare.
Partiamo da una considerazione base.
Da che mondo è mondo, per costruire o realizzare qualcosa, la prima domanda che ci si pone è una, ed una sola: dove si prendono i soldi?
Solitamente, quando si tratta di un’opera pubblica o di un’opera di interesse pubblico, la moneta proviene dalle casse di enti pubblici come comune, provincia, regione e via dicendo.
Ma se la crisi è talmente forte e tutti questi Enti hanno le “sacchette” vuote?
Il PPP (si consiglia una pronuncia lenta onde evitare sgradevoli sensazioni liquide nelle persone che sostano dinnanzi) rappresenta una risposta.
Da che mondo è mondo, per costruire o realizzare qualcosa, la prima domanda che ci si pone è una, ed una sola: dove si prendono i soldi?
Solitamente, quando si tratta di un’opera pubblica o di un’opera di interesse pubblico, la moneta proviene dalle casse di enti pubblici come comune, provincia, regione e via dicendo.
Ma se la crisi è talmente forte e tutti questi Enti hanno le “sacchette” vuote?
Il PPP (si consiglia una pronuncia lenta onde evitare sgradevoli sensazioni liquide nelle persone che sostano dinnanzi) rappresenta una risposta.
“Pensiamo a tutte quelle città che sono riuscite a risanare zone, ed interi quartieri, con una spesa ,minima da parte del comune ed elevatissima da parte del socio privato”, ha cercato di spiegare il prof. Giuseppe Fera dell’Università di Reggio.
Il meccanismo è semplice: si stila un progetto per la realizzazione o la riqualificazione di una qualche zona (l’assessore Gianfranco Scoglio, a tal proposito, preme per lo STU Tirone di Via La Farina) e si cerca un finanziamento che porti insieme il nome dell’Ente pubblico (ad. esempio il Comune) e quello di un socio privato, ossia un’impresa.
Poi, il gioco è fatto. Forse.
Durante l’ultimo workshop organizzato da Confindustria presso la propria sede, l’avvocato Nicola Bozzo ha difatti evidenziato bene quali possano essere i problemi a livello giuridico (facilmente risolvibili) e quali invece i problemi di tipo X, tra cui al primo posto (neanche a dirlo) vi è la politica.
“Siamo in un momento di crisi, manca la liquidità e mentre al Nord si stanno già attivando per ricercare fondi europei e investimenti privati, qui si pensa solo alle dimissioni (vedi Regione Sicilia), al patrimonio, al denaro facile”, ha voluto sottolineare Ivo Blandina, presidente di Confindustria Messina.
Insomma, PPP sì o PPP no? A voi l’ardua sentenza.
Per quanto mi riguarda, io dico sì, assolutamente sì…ad una pronuncia lenta.
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