venerdì 15 giugno 2012

Sicilia: la scuola va in Tribunale

Pubblicato su Messina 7, il 15 giugno 2012





Lo chiamano "dimensionamento scolastico", arriva direttamente da Roma, ha una brutta fama e, tra Corte Costituzionale, Corte dei Conti e Procura, in Sicilia sta creando non pochi problemi.
In realtà la situazione è più complessa di quanto non appaia ad uno sguardo distratto. Andiamo con ordine e coerenza.

Quando Mariastella Gelmini, allora ministro, emanò la sua Riforma scolastica previde, al suo interno, una lunga digressione riguardante la 'ristrutturazione' degli istituti.

Il piano di dimensionamento scolastico, infatti, così come risultava dalla Legge, doveva essere applicato in toto anche dalla Sicilia che, storia insegna, è una regione autonoma, non solo in senso geografico (dopotutto è un'isola) ma, in primis, da un punto di vista statuario.

Proprio questa peculiarità aveva spinto il Governatore Raffaele Lombardo ad adire le vie legali portando alla luce l'effettiva incostituzionalità della Riforma nazionale.

Da un lato, infatti, si sottolineava come le competenze in materia di “aggregazione, istituzione, fusione e soppressione di scuole” fossero della Regione (e non del Ministero); dall'altro, invece, si voleva ricordare come la Sicilia possedesse già una legge, la n.6 del 2000 (voluta dall'assessore Salvatore Morinello) contenente, a sua volta, le proprie disposizioni in materia di dimensionamento scolastico.

Andando ai numeri, ad essere contestato fu in particolare il comma 4 dell’articolo 19 della Legge Gelmini, ossia quello che prevedeva una soglia minima di 600 alunni per il mantenimento di un dirigente e un direttore Sga.

Al contrario, la Legge Regionale del 2000 prevedeva numeri differenti: un minimo di 500 alunni.

E così Lombardo decise di impugnare il tutto e fare ricorso.
Le vie legali e burocratiche hanno tempi talvolta estenuanti per cui, in attesa che arrivassero notizie dai vari Tribunali, lo spettacolo dovette andare avanti.
L’allora assessore regionale dell’Istruzione Mario Centorrino, in accordo con Governatore e Giunta, decise di non applicare (a prescindere da come si sarebbe evoluto l’iter legale) i numeri della Legge Gelmini e far riferimento invece a quelli regionali.
Un’attesa durata 3 anni, non senza clamorose manifestazioni di dissenso, proteste, corsi e controricorsi.

Basti pensare al polverone sollevatosi presso la scuola Minutoli, o ancora all’ultima vicenda riguardante gli Istituti comprensivi di Ganzirri e della città in generale.
Proprio in quest’ultimissima occasione, il Sindaco Giuseppe Buzzanca, insieme alla sua Giunta, aveva anche annunciato la volontà di voler fare ricorso al Tribunale Amministrativo contro Centorrino e il suo decreto.

Insomma, la situazione appariva sempre più sgradevole di giorno in giorno. Ognuno con la convinzione di avere ragione.

La svolta arriva il 7 giugno, quando la Corte di Cassazione firma la sua sentenza (n.147) decretando la vittoria del ricorso di Lombardo e l’incostituzionalità degli accorpamenti varati dalla Legge Gelmini.

Vince Lombardo, vince Centorrino, vince la Legge Regionale del 2000.

Eppure qualcuno continua a parlare di disfatta totale.

Cosimo D’Agostino, al vertice della Direzione didattica di Ganzirri, scrive infatti in una lettera aperta: “Se la Consulta ha ammesso la competenza della Regione a fissare i parametri numerici delle scuole per l’autonomia, ha altrettanto chiaramente sancito e ribadito che è competenza dello Stato, esclusiva e incontestabile, assegnare i dirigenti scolastici e i direttori Sga solo alle istituzioni che raggiungono almeno 600 alunni”.

Cosa vuol dire questo?

In sintesi, la Regione può anche decidere di mantenere scuole con 500 alunni e rispettare i numeri della Legge del 2000, ma ciò non vuol dire che queste scuole avranno assegnato un dirigente scolastico e un direttore Sga.

L’assegnazione, infatti, è di competenza del Ministero, e le regole del Ministero sono già fissate: al di sotto dei 600 alunni niente da fare.
“Siamo al punto di partenza – scrive ancora D’Agostino – e tutto è come prima”.

Tanto valeva non scomodare la Corte Costituzionale. Avremmo risparmiato anche sui costi degli avvocati.

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